Primavera dei Teatri – Diario 4, 1 giugno 2025. Congedo

Un festival vale anche per gli spettacoli che sembrano non perfettamente riusciti. È importante per i rischi che accetta di correre, per i dibattiti che può suscitare. Primavera dei Teatri ha presentato un gran numero di prime nazionali, pièce che avevano avuto solo il battesimo di qualche anteprima, da mettere ulteriormente alla prova. Diversissimi sono i generi visti, dal teatro realtà a viaggi dentro la favola, il mito, esplorazioni del vuoto con gli scandagli del paradosso dell’esasperazione sentimentale del vivente. 

Il mito credo che vinca, quei lavori che accettano di toccare il volo dalla riproduzione di casi di cronaca, di lacerti di vita, e che provano a penetrare lati oscuri, magari con le armi dell’umorismo. Rubricherei sotto questa voce anche il bel film Italianesi di Saverio La Ruina, nato dopo l’omonimo spettacolo, visto di mattina. La cronaca là è apparente: si indaga la condizione di sospensione degli italiani rimasti in Albania dopo l’occupazione fascista, uomini e donne rimasti sospesi tra il non essere perfettamente italiani né perfettamente albanesi. Il video ha l’andamento del documentario, ma è un’indagine che penetra ombre, margini oscuri, esistenze, miti in fondo, quali quelli dell’identità, dell’appartenenza e dello stato di sospensione esistenziale.

L’ultimo spettacolo, al teatro Sybaris, si connette, idealmente, a quel filone da cui sono partito in queste cronachette: l’esplorazione di fatti e momenti di vita calabrese, a specchio con un’altra “indagine” nelle lingue e negli immaginari del Sud, quello su autori siciliani come Nino Marino e Rosario Palazzolo. Il teatro di interroga ciò che lo circonda, cercando di andare a fondo. Goodbye Horses di Dalila Cozzolino e Ragli Teatro sceglie i toni del grottesco per raccontare l’antico conflitto tra la pitagorica, squadrata Crotone e la sibarita Sibari, con disfatta di quest’ultima, ottenuta suonando pifferi e tamburi, portandone i cavalli, addestrati a danzare, alla disfatta per troppo ballo. Lo spunto avrebbe potuto essere interessante, ma la storia si risolve in una ripetizione dell’assunto inziale condita da momenti di cabaret divertenti, a tratti, ma iterativi, in una sorta di teatro “neo-demenziale” senza troppo orizzonte.

La fine del festival incalza: scrivo questa ultima nota attendendo l’auto che alle 6.45 di lunedì 2 giugno mi porterà all’aeroporto di Lamezia. Sorprendenti sono stati Io sono verticale, della bravissima Francesca Astrei, e Emma B. vedova Giocasta di Alberto Savinio, rivisto e interpretato da Marco Sgrosso, un attore fenomenale che recita il testo “edipico” en travesti.

Astrei trasforma in narrazione “mitica” l’evangelica resurrezione di Lazzaro, con un’iniziale inarrestabile scivolare verso la posizione orizzontale (la morte, la quiete) sotto il calare progressivo di un microfono. Poi, sulla classica sedia dei narratori, sospende il momento della resurrezione narrando (senza formule ispirate a Dario Fo) l’attesa di tutti quelli che lo circondano, trasformandosi in moltissimi personaggi, Marta, Maria, i discepoli del Maestro, il bambino che chiede, a raffica, “perché?”, le miscredenti, sospettose pecore, perfino, dall’accento ciociaro… È una girandola di invenzioni, da asciugare magari un po’, perché poi alla fine il meccanismo lievemente si trascina. Ma con una bella sospensione tra il dover fare e il sottrarsi alle attese, per uno stato di quiete riguadagnato.

Sgrosso, formatosi con Leo de Berardinias, è attore magistrale: in abiti femminili percorre il testo di Savinio senza ingenerare un attimo di noia, scoprendo la macchina infernale dell’amore materno come trappola, come maschera, tra un tango, una canzone d’antan, una mazurca, in una scena con poltrona, specchi, valigia dei ricordi. In una prova superba, che si chiude tra gli applausi scroscianti, con una musichetta ribalda alla Paolo Poli. Ma qui devo chiudere: il tempo, anche nelle cronache, scandisce i rintocchi. Il sole ha appena colorato di luce le albicocche  del giardino (sono nespole, perché continuo a immaginarle e a chiamarle albicocche?)

Il tragediografo Frinico – narra Erodoto – fu multato di una grossa somma per aver ricordato agli ateniesi la realtà della disfatta e della conquista di Mileto da parte dei Persinai. Il mito più della realtà, da allora, dicono gli storici, fu indagato in quel teatro che è alla base del nostro. Il mito ha più facce della cronaca. Castrovillari, con il tuo teatro povero fatto principalmente di monologhi, con i tuoi sguardi multipli e divergenti, arrivederci. Arrivederci nespole, rose, monti, sentieri, sassi di Morano. 

condividi

post correlati